una cosa che ho sempre voluto a fine agosto è stata indossare scarpe invernali ed infilarmi dentro al mio amato cappotto. a fine agosto, come in questi giorni d’altronde, il sole è beffardo e mi guarda con un occhio strafottente ed uno chiuso di complicità. sa quanto io lo ami, ma sa anche quanto la nostalgia della fine di agosto mi faccia desiderare di aver già fatto un lungo balzo verso la fine di ottobre. verso la pioggia. verso l’aria rigida sulle guance. verso il buio delle sei.
quella di fine agosto e di metà settembre è una soglia diluita e composta, messa in fila, non frastagliata, che oltrepasso con un salto di quelli che non mi viene mai bene, goffo, dal quale atterro a piedi spaiati, che mi mette in tensione la caviglia destra e si scompone nella parte più bassa della schiena. è la soglia verso un dopo che sfiorisce, s’ingiallisce, si sfoglia e lascia cadere le braccia. è la porta d’ingresso sull’autunno, che accorcia la luce e allunga le ombre, chiude lo stomaco, ingloba il sonno e prende tempo.
fine agosto e metà settembre sono il momento giusto per pensare alle finestre che si chiudono e al natale davanti al fuoco, per ritagliare i dolori, per coprire la gola, per ingoiare rospi bollenti e fare azioni nuove. bussa l’autunno, bussa con garbo e attende fuori, coi piedi ben piantati sotto alla terra, ed io lo attendo a scarpe aperte, coi piedi all’aria, pronta a farmeli bagnare.
“temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea.”
muriel barbery