racconti

della nausea e le sue brevi storie

ci fermavamo sempre sulla piazzetta in cima al colle sopra goriano. era una piazzola per le soste veloci dalla nausea e ci voleva tempo per riassestare il mio stomaco rigirato dalle curve; mentre io bevevo distrattamente un succo, buttavamo per un po’ gli occhi su quell’ampio panorama, per poi ripartire. sotto di noi splendeva la valle subequana, teatro della mia libertà, dei dolori dei miei antenati, del loro amore e dei loro pianti. la culla di mio padre, quella valle, di mio nonno, di suo padre, di suo nonno… un utero immerso tra la severità della majella e la tranquillità del sirente.

mio padre guidava deciso e mia madre non aveva le interiora rivoltate. era mia nonna paterna quella del vomito nelle curve: restava a lungo muta e, anziché godersi i monti, fissava quella via vorticosa con i suoi occhi azzurri terrorizzati e, senza curarsi della valle, lasciava volare i suoi intestini fragili. solo così riusciva a non vomitare e poteva trattenere quella roba vecchia dentro allo stomaco.

il panorama delle radici di mio padre ha sempre un forte richiamo. è un vuoto denso di storia e radici e foglie e cime bianche. non ho più il senso di vomito, eppure a ogni curva ho di fronte la tenerezza del cuore di mio padre, i dolci occhi di mia nonna, la regalità di mio nonno, l’enormità – a lungo celata – del mio bisnonno. non ho nausea, né timore alcuno, non sento tristezza: restano solo lunghi strascichi antichi di vertigini in piena fronte. non ho nausea, no, semmai la certezza dell’infinito.

[ph. bi]

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racconti

ci rende piccoli la morte

le finestre al primo piano della signora murray sono aperte; suo marito è morto ed ella lascia che la luce ocra del salone esca per strada. si muove solo un filo d’aria sopra di lei e tutti sono rientrati nelle proprie case, lasciandola a quel crudele silenzio. è curva sulla sua schiena stanca e i suoi folti capelli sembrano ancora di più del colore del ghiaccio. si muove lenta, infilando un passo incerto alla volta.

il signor william aveva trascorso i suoi ultimi mesi immobile nel letto, accudito dagli attenti andirivieni dell’anziana signora murray. non era più sceso a curare le sue rose sotto alla magnolia, eppure queste erano riuscite a bastare a se stesse e a sopravvivere a quell’improvviso abbandono.

la signora murray si avvicina alla seconda sedia alla sinistra del signor william, la osserva con incertezza e vi si posa sopra con poca cura. è stanca fin nelle viscere. guarda il pavimento e di rado alza gli occhi sul bel vestito di suo marito; poi si alza decisa e sistema i fiori. gira gli occhi su quel corpo coraggioso e resta immobile per qualche minuto, che a me sembra un tempo assai piu lungo. appanna gli occhi gonfi, si affretta ad andargli a posare un breve bacio sulla guancia e torna a sedersi. conta gli istanti che trascorrono sopra alla loro casa, mentre serra i palmi sulle ginocchia dolenti e butta gli occhi a terra. quel vuoto la tiene in ostaggio. non riesce a pronunciare una preghiera, ma libera ogni tanto un timido sibilo.

ci rende piccoli la morte e la signora murray questa sera mi sembra ancora più minuta. mantiene la schiena sempre piegata in avanti, come a inchinarsi di fronte alla grandezza di suo marito. ci rende piccoli la morte, ma a noi che restiamo, non a chi ha deciso di partire, e il signor william nel suo vestito nero sembra un gigante. ci rende piccoli la morte e io questa sera mi ci sento ancora più.

[immagine: martina heiduczek illustrates]

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