#vitadibi

le finestre degli sconosciuti

mi piace osservare le finestre degli sconosciuti. mi piace immaginare i nomi e poi rubarli con gli occhi sui citofoni o sulle porte. mi piacciono le vecchie insegne, le cose passate, le narrazioni trapassate. mi piacciono le storie, le rovine, le macerie, i restauri. mi piace camminare, senza guardare dove poggiano i piedi. mi piace alzare gli occhi e avere più domande che risposte. mi piacciono gli esseri umani, mi piace ascoltarli con la giusta distanza, guardarli senza essere vista.

[ph. bi, sulmona, abruzzo.]

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#vitadibi

cielo di ghiaccio

è un cielo di ghiaccio quello che ci corre in cima alla testa questa sera. stanno giungendo la severità del nord, il presagio dei letarghi inoltrati, la densità dei racconti silenziosi tra le nevi.

il canto delle sequoie ci s’infila negli orecchi, aquile lontane sfilano nell’aria tersa, venti sconosciuti ci avvolgono in abbracci antichi e spalancano vecchie feritoie. una breve ansia ci costringe il petto e la lingua ci si sta prosciugando.

è l’inverno con la sua forza impetuosa, proprio lui, che ci si corica addosso. è l’inverno, che compie la sua rivoluzione sulle nostre esistenze infreddolite da una impercettibile paura.

[ph. krakow – da galeria luelue]

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#vitadibi

fotografata

la sua era nera, bordata d’argento per brevi tratti, e di quelle con gli obiettivi di diverse dimensioni da svitare e riavvitare. quando ci mettevo gli occhi dentro, non riuscivo mai a trovare la giusta messa a fuoco. lui sì, sempre.

ricordo scatti bianchi e neri e quadrati, bordati di coste frastagliate e spesse su carta satinata, mai lucida. le faceva stampare sempre opache, ché per lui erano migliori. ci ritraeva fin dai primi giorni di vita; io ero rilassata e curiosa tra le braccia di mamma luce: la fissavo nei suoi occhi a spicchi come due castagne autunnali quasi gemelle ma asimmetriche, quelle del ventisette settembre. ricordo quelle scattate di corsa e piene di echi di risate leggere, ritratte su marmi dai disegni astratti e cremosi, su mattonelle a rettangoli arancio bruciato messe sbieche e incrociate, su asfalti ruvidi e scuri, sulla sabbia battuta dall’acqua, pei boschi, sui divani pieni di famiglia. ne ricordo una che non scattò lui, in cui era con me ed eravamo assolati di un tramonto rosso e tiepido. aveva la barba nera allungata e potata, le dita lunghe piene di corde da suonare e le mani potenti.

i suoi scatti erano quadri, che riflettevano ogni volta tempi dalle nuove sfumature. la sua macchina era sempre con lui, portata nella mano destra nonostante avesse la cinghia per essere appesa al collo. la stringeva tra le mani, con l’indice pronto a dipingere.

ricordo di stampe rosate, quasi fucsia: un errore, diceva, al momento dello sviluppo, un incontro con la luce, che aveva alterato la vista dei colori naturali. erano primi piani, in cui inquadrava i miei occhi leggermente incrociati, il mio volto pettinato ed educatamente sorridente, un cerchietto di margherite che m’incorniciava i lineamenti e che nuotava tra i capelli cenere, portati appena sotto al mento. l’intera immagine risplendeva di un rosa deciso: il viso, il salone dietro alle spalle, gli occhi giallastri… tutto era rosato e io non ci vedevo errori.

sembravano una gara quelle fotografie. in ogni dove portava la sua macchinetta con noi e immortalava anche le mie lacrime bambine. come quando staccò le rotelle dalla bicicletta blu e bianca, sul marciapiede della rotonda di ostia, e mi disse: ora puoi andare! la paura mi agganciava le caviglie e l’equilibrio mi portava a destra e a sinistra e le mie lagne si tramutavano in fotografie con la bocca aperta e gli occhi raccolti in mezzo a fughe fanciulle di pianto.

ricordo il cavallo a dondolo al centro del salone, galoppante di libertà e zeppo di vento tra i capelli; le canzoni cantate al microfono, tutto di metallo e senza spugna nera sulla sommità: glielo avevo detto io che s’era sbagliato a comprarlo; i libri sfogliati seduta sul divano di pelle fresca color terra; i primi giorni di scuola coi fiocchi azzurri sempre troppo abbondanti; gli abbracci coi cugini in riva al mare; la nascita di quella tanto attesa sorella, che sembrava non arrivare mai a trovarmi; i prati, i mari, i monti, io e mamma luce, io e papà angelo, io e mia sorella anna.

silenziosamente amate d’immenso e così tanto fotografate per molti tempi importanti. importanti, perché fotografati. papà ci vedeva e ci metteva al centro del suo occhio e ci lasciava lì: stampate su una carta resistente ed eterna.

[bi e papà]

tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza / della vita è composta d’ombra e di luce.
(lev tolstoj, anna karenina)

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#vitadibi

radici

sono figlia di queste onde di terra umide e antiche
nelle mie orecchie vivono gli echi dei venti sulle colline verdi e i canti delle forti piogge estive
i miei occhi si disperdono per le sfumature di questi orizzonti impregnati di mistero
nella mia pelle si accendono tutte le sfumature delle spighe di grano e dei campi arati e mietuti
i miei nonni calpestano ancora queste erbe schive
le mie ave si aggirano vive dentro alle mura spesse e fresche
non temo il tremore di questi pavimenti di fameliche rugiade
questa è casa mia
°
sono una fiera selvatica
molto fiera delle proprie radici insozzate di sudore

[l’abruzzo – foto di ivo pandoli]

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#vitadibi

incamminati nel mio immaginario

“mi stia lontano chi ha cuore arido
chi ha ciglia asciutte”
johann wolfgang von goethe 

[illustrazione rebecca dautremer]

entra
chiudi la porta
chiudila dalla bruttura di chi bellezza non vede
di chi puntini sulle i interpone
entra
togliti il giacchetto
l’aria dell’immaginario mio ti vuole sfiorare
a partire dalle pelli più eteriche e sottili
entra
fai due passi in avanti
c’è una luce che attraversa i mondi sinistri
e giunge a destra diritto nella cucina
cibi si cuciono tra di essi
fondendosi in profumi di gusti immaginati
vieni
gira a sinistra
il panorama è impervio e roccioso
coni di ombre raffreddano le salite in quota
gole di luce e di sole ardono
chi l’ombra mia non teme
le rocce sono memoria e passato
hanno in cima alle loro punte la fioritura
di un futuro che è appena accennato
muschiato all’occhio
vellutato al tatto
affacciati nella finestra allungata
tetti sfumati di terra bruciata
proteggono vite antiche e rurali
silenti fuori e rumorose dentro
piene di grida e schiamazzi
e risa sconnesse e sguardi nascosti
cose di vita semplice eppure complessa
di bambini in vacanza d’estate
muovi i tuoi passi
non esitare
l’odore è pungente nel basso ventre
e floreale verso i soffitti arcuati e lattei
un pavimento miele tradisce macchie di vita
e irregolarità di pensiero
sono i sinonimi che feriscono i loro contrari
si voltano furibondi per l’impatto
per finire poi abbracciati
tra lacrime di pentimento e guarigione
incammìnati
ne hai il permesso
calpesta parola per parola questa fila di atti
pieni di coscienza
e ardore
e rivoluzione
e passione
sono i miei
quelli che grido al mond’intero

sono così
passion-aria
in me arde selvaggia la giustizia
e il senso di protezione verso le creature
in me regna l’aria
coi suoi venti tempestosi e estivi
mai brutali
ma pur sempre impetuosi
ti lascio in dono il mio fianco
pungolalo in primavera
e accarezzalo quand’è autunno
lascia che cada morbido sulle gambe sottili
che camminano senza sosta da secoli
ecco
qui c’è il mio cuore
bianco e rosso
rispettalo
salutalo
pregalo
stringilo
bevilo
custodiscilo
lascialo libero
seguilo
fa’ che ti voli dentro
e s’incamminerà con te
– per sempre

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#vitadibi

ho fatto un patto con la gentilezza

ho fatto un patto con la gentilezza. dammi risposte, le ho chiesto, e restituirò favori alla terra e al cielo. dammi una veduta inverdita sui toni del cioccolato e del fieno, le ho chiesto, e restituirò abbracci fatti di echi. dammi uno strapiombo, che si tuffi in un bosco di aceri in febbraio, le ho chiesto, e restituirò la saggezza del silenzio. dammi un braccio, su cui riposare la mia fronte piena di sguardi, e restituirò il sudore dei miei pensieri. dammi un giardino di fiori lattei e trifogli freschi e lucidi, le ho chiesto ancora, e restituirò la pace ai sensi. dammi una persiana che si schiude, la gatta che m’aspetta, la quiete dei mattini, voci di stelle infiammate, notti introverse, sogni trapassati remoti, colline solitarie e mai isolate, prati in rinascita, scale fiorite, l’albero di fico vestito da guardiano. dammi ciò che puoi, cura questi tagli orizzontali, tendi la tua mano per la mia, quasi già stanca. che poi gli occhi ce li metterò io.

 

[cimitero acattolico, roma]

[cimitero acattolico, roma]

 

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#vitadibi

più

più del sole e della luna. più del concepimento, delle nascite, dei principi. più delle colonne d’ercole, della salita che diventa vetta, dei cinque elementi e dei sei sensi. più dei confini che varco, dei laghi smeraldo in cui mi perdo, dei fiumi impetuosi che temo, del cielo stellato, delle scale di casa, dell’amore dalla pelle scura di mia madre, del silenzio narrato da mio padre, della mia casa nella roccia.

più delle ghiande sul ciglio della via, della gioia misteriosa negli occhi, delle radici fluide dei fiori di loto, del perdurare delle ore rosa della sera, dell’umidità tra i capelli, del tramonto imprigionato sulla roccia senza sole, dell’accento sulla parola amòre, dell’ombra del salice, degli incroci di sguardi, degli occhi luminosi, delle presenze, delle labbra che si stringono, degli addobbi natalizi, della luce, degli alberi ingialliti, dei vicoli, degli incontri, delle strade di campagna, del distacco senza ferite, della riconoscenza, del riconoscersi, dei meridiani, delle belle parole, dei pensieri di gratitudine, dei ti amo, degli specchi, dei chiostri, dei relativi oltre i pronomi, degli oltre, degli altrove, dell’odore della pioggia prima che cada, degli anni, del cucirsi dentro agli abbracci, delle percezioni, delle righe di un quaderno, dei viaggi, dell’esplosione delle stelle, della gravità, dell’insicurezza di ogni alba, delle idee che cambiano, dei capelli che crescono, della pelle che si schiarisce e s’arrossa, dei poligoni, delle isonometrie, delle more selvatiche, delle coperte di cielo azzurro, della candida esilità del tarassaco, della costanza, di un lento ballato a mani giunte.

più dei destini, delle destinazioni, della cura, della sabbia da calpestare, di un torrente gelato, di un grattacielo sulle luci arancio, di una civetta nascosta, di un’ancora da tuffare nel celeste, di una camicia di lino, della brughiera e della sua nebbia che tace, di un bacio dietro alla nuca, dei fiori gialli da sistemare, delle capriole, dei retro, del sedersi sul ciglio della strada, della persiana socchiusa, dell’edera rampicante, del verde della collina riflesso sul vetro, dei piedi scalzi, di un segreto da mantenere, della fronte incorniciata da una treccia, dei ricci chiari che scendono sulle spalle, della suola impagliata, dell’olio al legno di rosa, di una ghirlanda che cinge il capo, dei piatti dipinti a mano, dei calzoncini verdi, delle polaroid da incollare, delle guance dorate.

più, più di tutto, più dei più, vi è l’essere umani.

 

[ph. abruzzo]

[ph. abruzzo]

 

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#vitadibi

ecologia dell’autunno

una cosa che ho sempre voluto a fine agosto è stata indossare scarpe invernali ed infilarmi dentro al mio amato cappotto. a fine agosto, come in questi giorni d’altronde, il sole è beffardo e mi guarda con un occhio strafottente ed uno chiuso di complicità. sa quanto io lo ami, ma sa anche quanto la nostalgia della fine di agosto mi faccia desiderare di aver già fatto un lungo balzo verso la fine di ottobre. verso la pioggia. verso l’aria rigida sulle guance. verso il buio delle sei.

quella di fine agosto e di metà settembre è una soglia diluita e composta, messa in fila, non frastagliata, che oltrepasso con un salto di quelli che non mi viene mai bene, goffo, dal quale atterro a piedi spaiati, che mi mette in tensione la caviglia destra e si scompone nella parte più bassa della schiena. è la soglia verso un dopo che sfiorisce, s’ingiallisce, si sfoglia e lascia cadere le braccia. è la porta d’ingresso sull’autunno, che accorcia la luce e allunga le ombre, chiude lo stomaco, ingloba il sonno e prende tempo.

fine agosto e metà settembre sono il momento giusto per pensare alle finestre che si chiudono e al natale davanti al fuoco, per ritagliare i dolori, per coprire la gola, per ingoiare rospi bollenti e fare azioni nuove. bussa l’autunno, bussa con garbo e attende fuori, coi piedi ben piantati sotto alla terra, ed io lo attendo a scarpe aperte, coi piedi all’aria, pronta a farmeli bagnare.

 

[thomas Jackson photography]

[thomas jackson photography]

“temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea.”

muriel barbery

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#vitadibi

il paese 

il paese è dei bambini, che vi liberano i piedi e corrono senza meta e tregua alcune. è della stanchezza degli anziani, che posano i loro racconti antichi in cima alle panchine e lungo i bordi delle strade.

è dei giovani e dei loro primi amori, assaggiati lontano dal lume dei lampioni. è delle loro madri, che li sentono al sicuro, distanti dalla velocità dei pericoli cittadini.

è di chi si vuole libero, scalzo, senza orari, di chi parla a ragione e di chi resta muto di fronte alla magnitudine dei panorami, che si spalancano spavaldi e pieni di vita nascosta. è della natura selvatica, dei cani fuori casa, dei rintocchi dell’orologio, dei camini silenziosi nell’afa dell’estate, della sordità delle due, dei giardini sempre verdi, degli alberi di tiglio, del fragore delle fonti e del monte che tutti attende.

il paese è pure mio, che rivivo i miei antenati, intesso le mie radici, respiro giovinezza eterna. che guardo alle cose e alle persone con la gioia e la semplicità dell’infanzia, che fu anche mia.

 

è tutto un continuo affacciarmi alla finestra per riempirmi le tasche il più possibile  #abruzzomio

è tutto un continuo affacciarmi alla finestra per riempirmi le tasche il più possibile
#abruzzomio

“nasciamo, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente.”

rainer maria rilke

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#vitadibi

vorrei essere una pianta grassa

non sono fatta per restare nei fondali, pizzicata dalle correnti fredde che mi ritirano la pelle. per le notti senza ossigeno, quelle con la luce che non si accende e per i pulsanti che vanno a vuoto. per i divani in pelle, non sono fatta, per i cerchi alla testa, per i tremori alla palpebra sinistra, per le nevrosi, per le parole lanciate come cicche roventi, che vanno a spegnersi in cima al petto.

non sono fatta per i papaveri strappati via dalla loro terra e lasciati, esanimi, ad annegare in un vaso trasparente. non sono fatta per il caos, per la carne che sanguina, per la stitichezza nelle emozioni, per i forse, per i no, per i nossignore, per l’adolescenza e i suoi traumi che bucano lo stomaco, per le catene, per la ruggine, per le certezze, per i cigolii, per il carcere e le sue sbarre cieche, per le buche che squarciano le ruote, per le frasi deglutite, per le verità assolute, per gli avanzi, per i film horror, per la marmellata paglierina, per il miele millefiori, per i parabeni, per i conservanti, per il cemento, per le torte alla panna, per chi si specchia in assenza del suo riflesso, per la pigrizia, per l’insolenza, per l’accidia, per le dicotomie insanabili, per i proverbi, per gli ioni negativi, per il fondotinta, per gli accenti sbagliati, per i tirannosauri, per gli addii, per l’acrilico, per le mani serrate, per gli aneurismi, per le calze bucate, per i razzismi, per l’amaro, per le anestesie, per i rasoi, per i mostri dagli occhi bianchi, per gli incendi, per la fretta, per le scuse, per il punto e virgola, per i baci mancanti, per le unghie lunghe, per le maiuscole, per l’ingiustizia, per l’iniquità, per i cordoli, per i metalli pesanti, per l’heavy metal, per l’asfalto, per la sabbia bollente, per le bolle, per questa gola di cristallo, per gli alberi tagliati, per le tenebre di plutone, per la dimenticanza, per le tombe, per la frigidità, per la paura, per il prurito, per gli schiaffi dell’umiliazione, per il tradimento, per le spalle che si voltano, per le serrande e il loro suono perentorio, per le spine nel fianco, per i tagli che vomitano sangue stantio e nauseabondo, per gli occhi rossi, per la materia e il suo stato solido, per la televisione, per il tatto, per la pelle d’oca, per il freddo dentro alle ossa, per i centri commerciali, per le grida, per il credito esaurito, per gli antibiotici e gli antidolorifici, per gli anti, per i bambini che lanciano la sabbia, per le capriole all’indietro, per i bisogni cagionevoli, per la perifrastica passiva, per i tiranni, per i re, per la ferocia, per le sedie di plastica, per la pancia gonfia, per l’immobilità, per il vomito, per le intenzioni, per i capelli troppo tirati, per il narcisismo, per la polvere sui libri, per gli sguardi arcigni, per le domande retoriche, per gli aghi infilati, per le pecore bianche, per le pere, per le condanne a morte, per l’immondizia fuori dai secchi, per il mondo di collera, per l’albume, per la sordità, per la kappa, per le definizioni, per chi ruba energia, per chi ruba, per lo zucchero raffinato, per chi non muore mai, per le bugie, per l’arancione, per le bici con le rotelle, per gli asparagi cotti, per la disumanità, per i piatti di plastica, per il balcone piccolo, per la puzza di chiuso, per la puzza di sudore, per la vetta troppo stretta, per l’occidente, per i vicini, per i lontani.

vorrei essere una pianta grassa – e non avere più freddo.

 

[katsushika hokusai]

[katsushika hokusai]

 

“io guardo spesso il cielo. lo guardo di mattino nelle ore di luce e tutto il cielo s’attacca agli occhi e viene a bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale che si mangia la luce”.

mariangela gualtieri, da fuoco centrale

 

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