la figlia del dirimpettaio cammina, seguendo fiduciosa un lungo bastone nero. questo calpesta il terreno prima dei suoi passi brevi e la avvisa dei cambiamenti, togliendole il pericolo sotto ai piedi. è alta e si lamenta con suo padre del fatto che i messaggi vocali del ragazzo che le piace tardano ad arrivare e spesso sono troppo ristretti.
il dirimpettaio cammina accanto a sua figlia. sembra la colonna sulla quale ogni giorno lei può appoggiarsi, se le sopravviene una lieve stanchezza. ha ampie orecchie per ascoltarla e pare pronunciarle sempre la giusta frase. stende i panni in modo sparso e questi danzano col vento come un prato di papaveri forti e coraggiosi.
mentre eravamo tutti chiusi in casa, ogni sera alle sei il dirimpettaio apriva la finestra lunga del soggiorno e donava la sua musica ai reclusi. gli anni sessanta erano seguiti il giorno successivo dai beethoven e dalle liriche; poi ci portava negli anni settanta e lasciava che i suoi ricordi, in cui sua moglie c’era ancora, si mischiassero con i nostri, cosicché io mi ritrovavo di colpo nei viaggi in auto con mio padre.
le sei erano il tempo scandito dal dirimpettaio. erano il suo momento da suonare a volume alto, che portavano una lieve gioia in bocca a tutto il nostro quartiere. c’era meno solitudine in quell’ora di melodie sue e, aperte le finestre e raggiunti i balconi, eravamo tutti assieme in casa sua.
la musica da qualche giorno è finita. il dirimpettaio suona solo con le luci ocra accese in casa sua e i suoi panni volteggiano disordinati e sereni. sua figlia è uscita nuovamente col suo bastone a destra e la sua colonna di padre alla sinistra e non si spezza mai. un alone di naturalezza è tornata nelle loro ore quotidiane e così pure nelle mie.
[image: hokusai]
molto bella e toccante questa pagina…cronache d’una pandemia di solitudine…
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grazie!
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🙂
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