lettera

lettera dalla clausura

la nuova disciplina delle ore

è aprile duemilaventi. non riesco a svegliarmi alle sei, ma alle sei e quaranta sì. faccio colazione con mia madre e ci riempiamo di baci, dopo esserci narrate la notte appena trascorsa. talvolta lei conta le sue ore e veglia. i miei sono incubi mostruosi e lei lo sa, altri sono incontri e lei lo sa.
esco in mezzo al deserto, per andare a lavorare. le circostanze sono restrittive, ma ri-conosco il valore di queste nuove otto ore in industria. siamo tutti collegati e anche qui, lo vedo, il mio pezzo appartiene a una lunga catena, in cui ci sono famiglie di una persona, famiglie con figli, famiglie con sottrazioni. il clima ha uno spessore invernale e rigido, ma io decido di non lamentarmi. sono grata. avrei potuto perdere già metà stipendio, invece è parzialmente ridotto. avrei potuto perdere più di quanto marzo mi abbia già tagliato con una falce affilata e – diciamolo pure – crudele. ma resto grata.
quando esco, faccio un giro più largo e non incontro quasi nessuno. siamo bravi, mi dico. siamo bravi tutti i giorni, come possiamo. senza rabbie, senza lamentele inutili, senza giudizi, senza superficiali blablabla, che inquinino quest’aria che, invece, è più tersa.
sono riempita d’amore, di un amore maturo, caldo, largo, riccio, sorridente, che cura, che protegge. un amarsi di presente e futuro tutto assieme, che non sto qui a dire.
mia madre continua a pensare al nutrimento. lei è nutrimento e accoglie tutti in questo suo insieme ampio e sottile. ceniamo, raccontiamo, scambiamo pensieri solidi e anche fragili. c’è amore, non manca nessuno, preghiamo – ognuna a suo modo e in ritiro con se stessa. lei m’insegnò così, quando ancora non sapevo nemmeno leggere. è un momento sacro, che per nulla attiene alle religioni intese in senso comune. va sopra e sotto al comune senso del dire e del fare.
vivo poco nel balcone, ma ci vado per farmi schiaffeggiare un po’ dalla tramontana. il cielo è più limpido, gli uccelli vociano più forti, il silenzio delle strade fa emergere gli animi nella loro nudità – quella di tutti.
la sera ci infiliamo nei nostri letti. il mio presto dormire è diventato prestissimo: mi coglie una stanchezza artificiale che non so dire. la assecondo e spero di non avere un altro incubo. se arriva, il petto sembra esplodere, ma poi tanto si placa. mia madre mi bacia. io la bacio. non siamo diventate delle isole e non abbiamo mai interrotto il nostro contatto, per non ammalarci e per trasformare il lutto in amore. più amore di prima.
arriva poi la notte, che pare sempre uguale e invece no.

[ph. bi]

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