nell’attimo prima di alzarmi, conto le ore dormite e ripercorro quei luoghi lontani e offuscati, in cui un pezzo essenziale di me è stato di notte. sa tutto di crema al limone ed è vestito di zucchero a velo. il caldo ancora mi stringe a sé e vorrebbe continuare, se solo io restassi, se solo io non l’abbandonassi.
nell’attimo prima di scegliere una canzone, ripenso a quella volta in cui vagavo spenta in centro. tutto faceva chiasso, mentre io mi sentivo morire dentro. avevo perso la mia crema al limone. mi ritrovai ad ascoltare musica in un negozio enorme e pieno di luci bianche, con due grosse cuffie nere che non mi coprivano solo le orecchie, ma anche una parte di mente e uno spicchio di cuore. ascoltavo quella voce angelica cantarmi nelle tube, cantare solo per me. intorno era pieno di corpi, eppure io ero sola – e pure in piena trasformazione.
nell’attimo prima di mangiare, penso a mio padre e torno ai miei pensieri di allora, solo miei. mangiavo solo le cose che mangiava anche lui, dicevo le cose che diceva lui, mi arrabbiavo come si arrabbiava lui, suonavo la sua chitarra stonando, invece lui le esaltava l’anima. poi un giorno ho smesso. ho capito chi fossi e ho tirato fuori con coraggio la disobbedienza e la contestazione. tuttavia non ho mai abbracciato nessuno come ho abbracciato lui.
nell’attimo prima di svenire, mi alleggerisco. sento sparire il confine tra me e la mia materia e sento di compiere un passo in avanti. non indietro, in avanti. gli occhi si sfibrano e le immagini prevedibili e regolari sbiadiscono in un liquido puntinato e grigiastro, dai contorni un po’ viola e un po’ no. le orecchie anche si sfumano in un’eco sempre più lontana e quello, che fino ad allora era di qua, in quel momento se ne va al di là. mi siedo o mi sdraio, così non sbatto. tanto io so bene com’è: me ne vado un attimo, ma torno subito.
nell’attimo prima di fine anno, penso sempre che l’anno sia appena iniziato. l’anno mio inizia a settembre, non a gennaio. a gennaio non ho le forze, a gennaio sto al chiuso e sotto alle coperte. quello che tutti chiudono in quei giorni chiassosi, che sarà poi non so più cosa, io lo chiudo ad agosto, prima di andare in vacanza. poi a settembre sento la forza dell’inizio, un impeto di energia e vita, quasi come quando guardo un foglio bianco e la testa è già piena di parole: è l’istante prima in cui non me ne viene in mano neanche una per iniziare, poi comincia a sgorgare un fiume.
nell’attimo prima di ricomporre i pezzi, mi chiedo se la cosa vada riparata o lasciata a se stessa. i pezzi sono nuova vita, no? un vaso rotto non torna mai più vaso, ci sarà sempre un alito di spazio tra una scheggia e l’altra, in cui la materia è tornata a essere aria. i pezzi sanno di vita nuova e per me non occorre ricomporli. basta dare loro un nuovo nome e si sentiranno appena nati, anziché appena morti.
nell’attimo prima di spegnere la luce, penso alla paura del buio. alle volte la sera, quando proprio non ne potevo più, scappavo al piano di sopra per andare in bagno. tutti restavano nel salone, mentre io in solitudine uscivo, accendevo la luce e correvo svelta su per le scale, facendone due per volta. uscita dal bagno, un giorno trovai la luce spenta. richiusi la porta, mentre il cuore si stava per staccare dal resto di me. non mi sono mai fidata del buio, perché non mi ci sono mai sentita sola. nel buio c’è sempre stato qualcuno alla mia sinistra.
nell’attimo prima di addormentarmi, prego. lo facevo con mia madre, dentro al letto suo. ci raccoglievamo sotto alle coperte, noi due da sole, e io ripetevo quelle nenie dopo di lei. frase per frase, fino a impararle, ché non sapevo ancora leggere. sembravano poesie, sembravano un dono dalla sua alla mia bocca. una musica solo nostra, in cui il resto del mondo era solo pensato e non era lì dentro. restava fuori. le mie piccole mani erano chiuse tra le sue e il suo profumo, sentito in altre vite, si attorcigliava come una corda lenta e dolce tra di noi. le mie idee di oggi si costruirono lì, in quei momenti segreti con lei.
l’attimo non può essere soltanto un punto. l’attimo è più grande di un punto. è un punto che racchiude un infinito.
“è così che muoiono le infanzie, quando i ritorni non sono più possibili perché i ponti tagliati inclinano verso l’instancabile acqua le travi sconnesse nello spazio estraneo. non c’è allora altro rimedio che quello del serpente: abbandonare la pelle nella quale non entriamo più, lasciarla a terra, tra i cespugli, e passare all’età successiva. la vita è breve, ma in essa entra più di quel che siamo in grado di vivere”.
josé saramago, “di questo mondo e degli altri”
[immagine di ari-zuka, tratta da “pop surrealist”]